Monthly Archives: May 2021

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La Leadership

Fonte: http://www.platform-optic.it/

La leadership non accade per caso, ma è una scelta: scegliere di svilupparla; scegliere di migliorarla; scegliere di assumersi la responsabilità delle proprie azioni; scegliere di lavorare a supporto degli altri; scegliere di creare valore.

Vuca (Volatile, Uncertain, Complex, Ambiguous) è la sigla che delinea un contesto volatile, incerto, complesso e ambiguo; un ambiente in cui i cambiamenti si susseguono in modo sempre più imprevedibile, rendendo più difficile e faticoso il continuo adattarsi agli eventi, alle situazioni, ai processi. è la rappresentazione di questo momento particolare della nostra esistenza.

“Mai sprecare una crisi” è una frase pronunciata da Rahm Emanuel, consigliere di Barak Obama in occasione della crisi finanziaria del 2008. L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo sarà ricordata per lo smisurato sacrificio di vite umane, ma anche per gli straordinari cambiamenti generati nel mondo del lavoro.

L’osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano stima che saranno più di 5 milioni i lavoratori che continueranno a operare a distanza a fine pandemia.

Cosa significa?

Sicuramente non è solo il numero da considerare ma di una svolta epocale, che trasforma, dissolvendoli in larga parte, i collegamenti alla dimensione fisica del lavoro, quelli riferibili ai concetti di spazio, di tempo e velocità. Un cambiamento storico e un cambiamento che inciderà sulle modalità di relazione delle aziende all’interno e all’esterno della organizzazione.

Si evidenzia la necessità, per tutte le imprese coinvolte, di cambiare radicalmente modus operandi, visioni e strategie. Come fa notare il sociologo Andrea Fontana, in un campo da gioco che è totalmente mutato rispetto al passato, i professionisti devono orientare scelte e visioni verso un nuovo modo di fare e vedere l’impresa.

Il cambiamento in atto, che definisce “catastrofico” per la radicale variazione che ha provocato nello status quo di persone, ambienti e contesti, “non è come tutti gli altri tipi di cambiamento, perché non è lineare, è imprevedibile, irreversibile e traumatizza le persone” al punto da rendere indispensabile imparare un nuovo modo di gestire emozioni derivate da timori e incertezza dilagante.

Tutto questo richiede una trasformazione culturale che non può non investire il concetto di leadership, chiuso da sempre in una visione che ha puntato a restringere questa competenza alle sole posizioni dei vertici aziendali. Nelle situazioni così critiche e così inaspettate dobbiamo essere molto attenti a gestire in modo diverso situazioni diverse.

Oggi, ad esempio, è importante essere in grado di gestire il business mettendo in conto che potranno cambiare gli equilibri decisionali e anche i soggetti coinvolti. Si impone un ripensamento dei modelli di management e leadership: etica, sostenibilità e corporate social responsibility devono esserne i driver, nell’ottica della centralità delle persone.

C’è bisogno, quindi, di unire le forze, abbracciando i vantaggi della leadership condivisa. Occorre pertanto spostare il focus della nostra organizzazione sulle capacità delle singole persone e delle unità organizzative di assumersi la responsabilità del raggiungimento degli obiettivi prefissati, indipendentemente dal ruolo gerarchico e dalle risorse da coinvolgere.

Se c’è una parola che dobbiamo riscoprire, è la prima persona plurale: il Coronavirus ha imposto di leggere al contrario il pronome personale “io”, aggiungendo la lettera “n” per arrivare a decretare il “noi” come chiave per superare la crisi socio-sanitaria ed economico-finanziaria. In tutte le aziende c’è bisogno di “Noi”.

Dopo un 2020 disastroso, convulso, incerto, difficile, in un contesto economico e sociale in continua evoluzione, creare i presupposti per un nuovo modello di leadership efficace è fondamentale per ogni Professionista per affrontare i cambiamenti che incontreremo in futuro. Il leader ha un ruolo fondamentale nello sviluppo di un clima che faciliti l’interazione tra gli individui per gestire con agilità ed efficacia situazioni complesse come quelle che stiamo vivendo.

Se sei responsabile della tua azienda, ricordati che è proprio nei momenti difficili che una leadership strutturata e illuminata fa sempre la differenza. La leadership non accade per caso, ma è una scelta: scegliere di svilupparla; scegliere di migliorarla e renderla efficace ai massimi livelli; scegliere di assumersi la responsabilità delle proprie azioni; scegliere di lavorare a supporto degli altri; scegliere di creare valore.

Se da una parte il comportamento del leader è fondamentale per condizionare lo sviluppo di un clima adeguato all’interno del team, dall’altra la necessità di fare leva su competenze altamente diversificate per far fronte a problemi complessi, non consente al leader di avere sempre la conoscenza di ciascuna delle attività svolte dai singoli membri del team.

Il leader si trova spesso esposto a condizioni di stress che mettono a dura prova la sua capacità di gestire la pressione emotiva; egli può essere esposto a rabbia, timore, ad altre emozioni negative che possono impattare pesantemente sulla capacità del team di mantenere vivo un clima adeguato, e di conseguenza raggiungere i risultati attesi. Dal punto di vista emotivo tutti noi stiano vivendo un momento intenso, non certamente positivo, difficile da capire e da gestire.

Se poi abbiamo anche la responsabilità di organizzare un team, l’importanza di gestire le emozioni diventa fondamentale in quanto le emozioni sono sempre contagiose. Come sostengono Goleman e Boyatziz “le emozioni si diffondono in modo irrefrenabile ogniqualvolta due o più persone sono vicine, anche nella totale assenza di contatto verbale.

È dimostrato scientificamente che le emozioni sono contagiose: questo vuol dire che se ci troviamo in un ambiente emotivamente positivo ne saremo influenzati, ma vale anche il totale contrario; gli studi affermano che le emozioni negative hanno un effetto più forte e più duraturo rispetto alle emozioni positive. Consideriamo sempre che ogni leader rappresenta la guida e il riferimento del team anche da un punto di vista emotivo: le sue emozioni influenzano il sentire del gruppo.

A parità di competenze tecniche ed esperienza, un gruppo disposto emotivamente in modo positivo raggiunge una performance maggiore. A tale proposito gli stessi autori citati sopra, riportano che la qualità dell’atmosfera emozionale negli ambienti lavorativi può incidere del 20/30% sulle prestazioni. Inoltre, è interessante il fatto che gli studi affermano che i leader dotati di intelligenza emotiva attraggano maggiormente persone di talento, perché collaborare con loro è un piacere.

In un certo senso possiamo considerare che ogni leader fissa lo standard emotivo delle singole persone e dell’intero team. Le emozioni possono essere molto intense e transitorie; positive e negative. A volte possono costituire un fattore di disturbo sul piano professionale.

L’incapacità da parte del leader di gestire la pressione emotiva, coniugata a un’elevata diversità dei membri all’interno del team, può portare a scenari distruttivi in cui la collaborazione viene sostituita da conflitti interpersonali, accuse reciproche ed erosione della fiducia.

Quali sono le strategie per regolare le emozioni?

Le strategie per regolare le emozioni da parte del leader sono tipicamente due: una è un approccio di masking, mentre la seconda è una strategia definita di replacing. Il masking prevede di nascondere il proprio stato emotivo manifestando esternamente quello che la situazione e il team richiede.

In altri termini, il leader mette una “maschera” per dissimulare il proprio stato emotivo e fare in modo che tutti i membri del team mantengano il focus sulle attività da svolgere con l’obiettivo di contenere la diffusione di un clima negativo. Il replacing si fonda invece sulla trasformazione del proprio stato emotivo e sull’interiorizzazione delle emozioni che è più opportuno mostrare in un determinato contesto.

In altri termini, Il leader cerca di trasformare le proprie emozioni allineandole a quelle attese dal team in quella determinata situazione. I risultati delle ricerche mettono in evidenza che, se da un lato una strategia di masking può essere positiva per i risultati del team, dall’altro l’inautenticità emotiva di questa strategia può determinare una tensione interna al leader difficilmente sostenibile nel lungo periodo. Non esiste un’unica strategia per gestire efficacemente la pressione emotiva, ma è fondamentale agire secondo una logica di contingenza.

Diventa quindi necessario che il leader impari a riconoscere le proprie emozioni e a comprenderne le conseguenze per il proprio team e per sé stesso per essere in grado di discernere il contesto in cui sta operando e gestire di conseguenza le proprie strategie emozionali.

Feel – Read – Train

Feel: il primo aspetto fondamentale è quello di non cercare di evitare le emozioni e di non adottare un approccio passivo. La maggior parte delle persone considerano le emozioni un aspetto trascurabile del proprio lavoro, ma le emozioni costituiscono un elemento preponderante che spiega sempre il comportamento umano.

Sfuggire ai propri stati d’animo e avere un atteggiamento di passività nella gestione della pressione emotiva, espone leader e il proprio team alla diffusione di un clima di tensione e a conseguenze negative in termini di performance e di risultati personali.

Read: il leader deve riconoscere e accettare i propri stati emotivi, e deve essere anche in grado di leggere il contesto in cui questi stati emotivi si sono sviluppati. Ad esempio, in situazioni di emergenza in cui è richiesta velocità d’azione, è più opportuno cercare di evitare contagi emotivi adottando una strategia di masking e tenere il team focalizzato sull’obiettivo.

Train: Il leader deve allenare la propria capacità di gestire le emozioni e deve accrescere la propria capacità di riconoscere le emozioni e di valutare gli impatti sulle persone vicine. È quindi necessario che sviluppi senso critico per apprendere come le proprie emozioni concorrano alla creazione di un clima positivo nel team o possano invece contribuire alla creazione di un ambiente “tossico”. Ricordati che la vera leadership si sviluppa attraverso un percorso  che dura tutta la vita e che richiede un apprendimento continuo.

Essere un buon leader non indica solo un processo di miglioramento personale o un avanzamento di carriera professionale, ma significa far progredire l’intero team di collaboratori verso obiettivi condivisi. Questi tre elementi, fondamentali per allenare la propria capacità di gestire la pressione emotiva, diventano essenziali nello scenario difficile che stiamo vivendo in questo periodo.

Competenza emotiva e competenza sociale per arriva all’intelligenza emotiva.

Le emozioni possono essere definite come stato, come processo o come fonte indiretta di conoscenza e sono determinanti sia per lo sviluppo di corretti meccanismi di apprendimento che più in generale per sviluppare competenze sociali.

Con il termine di competenza emotiva mi riferisco alla capacità di discernere i propri e gli altrui stati emotivi e di averne il controllo in ogni momento e in ogni situazione.

La competenza sociale è invece la capacità di instaurare rapporti positivi con altre persone (siano amici, colleghi, superiori, insegnanti, ecc.) e mantenere e iniziare nuove relazioni. Il passaggio successivo è quello di regolare le proprie emozioni andando a costruire le basi di quella che è a mio avviso è la competenza per eccellenza: l’intelligenza emotiva. Daniel Goleman, definisce l’intelligenza emotiva come “la capacità di riconoscere le proprie emozioni, quelle degli altri, gestire le proprie e interagire in modo costruttivo con gli altri”.

La gestione delle proprie emozioni, e quindi l’intelligenza emotiva, sono fondamentali nei processi di apprendimento e nei percorsi di crescita aziendali, dove spesso si prendono decisioni che possono influenzare vite, emozioni, pensieri e destini economici delle persone.

L’intelligenza emotiva è più importante delle competenze tecniche; e come tutte le competenze può essere allenata imparando a lavorare dapprima su se stessi, sulla propria fiducia e sulla valorizzazione di ciò che è differente: più un leader è in grado di controllare e gestire se stesso maggiore sarà la sua capacità di orientare al risultato, raggiungere obbiettivi, motivare e valorizzare gli altri.

Che sia un dono o una competenza che si possa apprendere o perfezionare è certo che le doti di leadership intese proprio come doti di guida e capacità di orientare.

il proprio gruppo o team di lavoro nella giusta direzione sono alla base di una leadership efficace. Consideriamo che i leader sono tali perché prima di gestire gli altri sanno gestire se stessi.

Leadership emozionale

Le emozioni sono il denominatore comune della nostra esistenza e delle relazioni. La differenza consiste in come decidiamo di viverle, di attraversarle, di illuminarle. Le emozioni movimentano la nostra esistenza, la valorizzano, animano i nostri pensieri e sono il motore delle nostre azioni: ci guidano, ci incoraggiano e ci motivano.

Abbiamo visto che i leader sono coloro che non si perdono d’animo davanti alle difficoltà, le emozioni fanno parte del loro patrimonio e le utilizzano pienamente nella vita professionale. Sono figure che suscitano entusiasmo per un ideale comune, che assumono la guida del gruppo indipendentemente dalla propria posizione, che guidano le prestazioni degli altri esercitando la leadership con il loro esempio.

Per quanto il leader possa pianificare le procedure alla perfezione, se allisce nel compito primario di orientare le emozioni nella giusta direzione, nulla di quanto avrà intrapreso funzionerà come avrebbe dovuto o potuto.

L’arte della leadership emozionale implica la capacità di esercitare la pressione imposta dalle reali esigenze di lavoro senza per questo sconvolgere e destabilizzare le persone. L’angoscia non solo compromette le abilità mentali, ma rende le persone meno intelligenti dal punto di vista emozionale.

Ma cosa significa far leva sulle emozioni?

Abbiamo analizzato che la grandezza di una leadership si fonda nella capacità di far leva sulle emozioni. La capacità di intuire le potenzialità del fattore emotivo nell’ambiente di lavoro rappresenta la caratteristica distintiva dei grandi leader a qualsiasi livello di leadership. Goleman afferma che la capacità di un individuo di riconoscere e regolare le sue emozioni, e anche le emozioni degli altri, rappresenta l’80% di successo.

Elemento interessante è che l’intelligenza emotiva si può allenare. Ma per poter ben utilizzare le emozioni bisogna innanzitutto conoscerle. Il primo passo che propongo a chi si avvicina a questo universo è cominciare a “familiarizzare” con il nostro sentire emotivo dando “un nome alle emozioni”.

Fermarsi, ascoltarsi e imparare a dare un nome a ciò che sentiamo, mettendoci in ascolto di noi stessi, cosa a cui spesso non siamo abituati perché agli stimoli emozionali facciamo seguire subito delle reazioni immediate.

Suggerisco di provare: sembra facile, ma ascoltare noi stessi e dare un nome “a ciò che c’è” non è un esercizio a cui siamo abituati. Conoscere e saper gestire le risorse emotive proprie e del gruppo non significa essere meno forti; anzi significa imparare a utilizzare una risorsa che abbiamo già a disposizione, ma che forse dobbiamo imparare a leggere!

Nel mondo odierno, volatile, incerto, complesso e ambiguo, la leadership emozionale può rappresentare una delle strategie vincenti per supportare e accompagnare il nostro team da dove sono oggi a dove non sono mai stati. Non si tratta solo di risparmiare e ottimizzare i processi produttivi, ma di motivare e coinvolgere tutti i collaboratori dando loro speranza e sogni. Si può essere esperti di analisi dati, ma se si è incapaci di leggere le persone, il leader non saprà mantenere la performance, l’efficacia, i risultati a un livello ottimale.

Non possiamo capire le esigenze, le difficoltà delle persone, se siamo focalizzati su noi stessi e sulle nostre abitudini. Oggi tutti noi abbiamo bisogno di leadership e di una buona dose di saggezza! Potremmo definire l’emozione e la saggezza i due ingredienti principali per una leadership efficace.

Osservo i nostri politici che dovrebbero rappresentare la comunità, vedo spesso le modalità di gestione di molte aziende e noto una significativa mancanza di saggezza. Vincono egoismi e localismi, il raggiungimento di obiettivi di breve, la creazione di nemici esterni come modalità identitaria, il narcisismo dell’ego che mette al centro l’interesse individuale e la logica della vittoria a tutti i costi.

La saggezza rappresenta la capacità di comprendere il carattere specifico di luoghi, persone e momenti particolari, consentendo al “leader saggio” di individuare l’azione e la decisione più efficace per il bene comune. La saggezza viene considerata come l’arte di raggiungere un bene comune trovando un equilibrio e un bilanciamento tra interessi diversi (intra, inter ed extrapersonali) e tempi (effetti di breve e di lungo termine), collocando la propria azione/decisione all’interno di un contesto (comprendendolo, adeguandosi e plasmandolo nel tempo). La saggezza non porta quindi con sé modelli di azione preconfezionati o protocolli standardizzati.

Al contrario, rappresenta la capacità di comprendere il carattere specifico di luoghi, persone e momenti particolari, consentendo di individuare l’azione e la decisione più efficace per il bene comune. Ricordati. Essere leader significa suscitare entusiasmo e sentimenti positivi nelle persone che ti circondano.

In primis le persone, poi le persone e infine le persone. è necessario dare valore al contributo di ciascuno, indipendentemente da dove svolge l’attività, riempire di senso gli spazi aziendali, opportunamente ridisegnati, motivare le persone, incoraggiare un diverso tipo di leadership rivedendo strutture, processi e stili Allenati ad accendere e mobilitare le attitudini migliori in coloro che ti circondano per essere in grado di mobilitare le energie migliori del proprio gruppo di lavoro, sapendo giocare sulle motivazioni profonde di ognuno del team.

Consenti a chi ti è accanto la possibilità di mettersi in gioco a ogni livello: tutti dovrebbero sentirsi liberi di esprimersi, di avere un ruolo e di vedere il loro contributo riconosciuto nell’ambito dei valori condivisi dall’organizzazione.

Scegliere e decidere tenendo conto delle emozioni delle persone e della loro posizione è un sistema più faticoso inizialmente ma più incisivo.

è necessario dare un nuovo significato (sense-making) alla vita e al lavoro, coltivando abilità essenziali come gestire gruppi e di possedere stili di leadership e apprendimento capaci di leggere qualsiasi tipo di informazione contestualizzando e mettendo tutto in discussione, consapevoli che non esiste alcun paradigma permanente.

Sempre nella consapevolezza di ricercare il giusto valore al Team, (Together Everyone Achieves More) proprio perché quest’ultimo rappresenta la risorsa migliori per contrastare questo periodo e uscirne vincenti.

Roberto Pregliasco- Business & Retail Coach- titolare del brevetto Clipsystem

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Essere COACH

Fonte: http://www.platform-optic.it/

Il Coaching non è una tecnica da applicare in determinate circostanze, ma prevede una relazione con le persone basata sulla fiducia, sulla sicurezza e sulla condivisione di visione.

Richiede intelligenza emotiva, empatia, integrità, serenità ed equilibrio. Da questo numero di PLATFORM inauguro una serie di approfondimenti che avranno come denominatore comune quali competenze può acquisire una persona manager, un imprenditore, un collaboratore per avere un orientamento e uno stile di Coaching.

Possiamo definire il Coaching una disciplina che favorisce lo sviluppo delle potenzialità dell’’individuo in relazione ad uno specifico obiettivo, attraverso azioni di supporto e di stimolo al raggiungimento della consapevolezza delle proprie potenzialità.

Si sente sempre più parlare della figura del coach nelle aziende che diventa una guida focalizzata sia sui risultati sia sulle relazioni.

L’importanza di sviluppare skill da coach è strettamente legata alla necessità di saper adattare il proprio modo di essere con flessibilità rispetto alla situazione, al momento e alle persone che si hanno di fronte.

È un modo di essere leader e di fare management, un modo di relazionarsi, un modo di pensare, un modo di essere, un modello eccezionale per promuovere lo sviluppo dei collaboratori.

Oggi l’approccio manageriale nelle aziende è spesso inquinato da abitudini, cultura, modelli di riferimento passati; pressione sui risultati di breve termine; ansia da performance; caratteristiche personali (fiducia o meno verso i collaboratori, attitudine al controllo, gestione del potere).

Espressioni come il nostro personale è la nostra grande ricchezza rimangono spesso dei cliché da enunciare nelle brochure di presentazione aziendale, delle parole vuote senza azioni concrete orientate ad un cammino di crescita e valorizzazione della persona e, in fase successiva, del Team. Ritengo che in ciascuno di noi ci sia una parte delle competenze necessarie ad un coach, in alcune persone sono più evidenti, in altre più nascoste. Il processo di Coaching gestito dall’imprenditore/coach si articola in incontri periodici con i collaboratori per stabilire gli obiettivi, per definire alternative e scelte, per eseguire i piani d’azione e per rivedere i risultati.

È necessario, infatti, un lavoro condiviso su:

  • allineamento agli obiettivi
  • definizione dei ruoli
  • condivisione di strategie
  • definizione chiara degli obiettivi.

All’imprenditore/coach spetta il compito di mantenere la coesione del gruppo. La coesione è ciò che consente al collaboratore di sentirsi parte del team, di riconoscersi e identificarsi in esso, di desiderare di giocare insieme agli altri e di mettersi al servizio della squadra puntando a vincere come squadra prima ancora che come individuo.

Ogni organizzazione ha la necessità di un imprenditore (allenatore) leader ed esperto, capace di motivare i suoi giocatori (collaboratori) per:

  • creare una squadra vincente
  • migliorare il clima organizzativo e senso di responsabilità
  • aumentare la motivazione e la performance di gruppo
  • allineare i singoli alla mission e alla vision del team
  • rendere più veloci i processi di decisione e di innovazione
  • stimolare la collaborazione piuttosto che la competizione
  • facilitare il cambiamento organizzativo
  • sviluppare responsabilità e consapevolezza

La mia esperienza di Coach

Sono un ottico optometrista che da 25 anni si dedica alla formazione.

Durante questi anni ho ricercato metodologie e approcci realmente efficaci per lo sviluppo delle persone e delle organizzazioni. Anni fa sono diventato Coach. Attraverso il Coaching aiuto persone e aziende a raggiungere risultati sostenendo un percorso di cambiamento, apprendimento ed evoluzione atti a creare valore.

Attraverso l’allenamento delle potenzialità personali, lo sviluppo delle competenze, la determinazione degli obiettivi e la stesura dei piani d’azione utili a conseguirli, l’azienda (spesso lavoro direttamente nei Centri Ottici: dall’imprenditore ai suoi collaboratori) viene accompagnata verso gli obiettivi prefissati.

Il Coaching (dal termine inglese coach, che significa allenatore) consiste in un’azione nella quale il coach garantisce la crescita di chi lavora in un’azienda, allenando, spingendo, insegnando metodi che permettono un costante miglioramento.

I miei compiti sono di individuare i punti di debolezza e di agire con un programma cadenzato nel tempo, finalizzato a migliorare l’efficacia del soggetto. È un percorso di crescita rivolto a tutte le persone motivate ad apprendere per migliorare il proprio livello di professionalità e per acquisire nuove competenze. Nella mia personale cassetta degli attrezzi, in aula e nelle relazioni utilizzo la Programmazione Neurolinguistica applicata al Retail Coaching e Business Coaching.

La Programmazione Neuro-Linguistica è una disciplina che riunisce vari ambiti dello studio della comunicazione umana e si propone come strumento per influenzare fattori quali l’istruzione, l’apprendimento, la negoziazione, la vendita, la leadership, il team-building.

La PNL mette a disposizione di chi si occupa di vendita, ad esempio, una serie di strumenti, grazie ai quali è possibile integrare, aggiornare e rafforzare le proprie competenze per creare relazioni proficue e durature con il cliente, per evitare obiezioni e resistenze durante le trattative di vendita, riconoscere le strategie decisionali che portano all’acquisto, comunicare in modo efficace con le parole, il tono di voce e il linguaggio del corpo.

Il Retail Coaching rappresenta, invece, la metodologia di miglioramento ideale per tutti gli imprenditori che guardano con attenzione alla crescita dell’azienda (Centro Ottico) attraverso l’entusiasmo dei collaboratori e la fidelizzazione dei clienti.

L’introduzione del Retail Coaching come nuovo modello aziendale, permette di allenare le potenzialità degli staff di vendita e di raggiungere obiettivi sfidanti come il potenziamento delle performance di gruppo e l’aumento della redditività del centro.

Consideriamo sempre che il valore del punto vendita è in funzione del valore dei suoi clienti e che deriva dall’ampiezza delle relazioni con i clienti che sono direttamente correlate alla customer satisfaction. Essa a sua volta nasce dalla sintonia fra valore generato per i clienti e il valore da loro desiderato. Una cosa è certa: il valore dell’offerta di ogni punto vendita è in relazione alla qualità del prodotto e alle skill professionali, relazionali dei consulenti alla vendita. Sono quest’ultimi i veri generatori di valore.

La programmazione neuro linguistica (PNL)

Il nome scelto dai fondatori della disciplina sintetizza tre componenti:

  • Programmazione, cioè la capacità di influire sulle modalità di comportamento variabili e fondate
  • sulla percezione e sull’esperienza individuali. Tramite la PNL si interviene su una gamma predefinita di comportamenti (programmi o schemi), che funzionano in modo inconsapevole ed automatico
  • Neuro, ovvero i processi neurologici del comportamento umano, basato su come il sistema nervoso riceve stimoli dagli organi di senso e li rielabora come percezioni e rappresentazioni
  • Linguistica, che definisce il sistema con cui i processi mentali umani sono codificati, organizzati e trasformati attraverso il linguaggio

L’idea centrale della PNL è che la totalità dell’’individuo interagisce nelle sue componenti (linguaggio, convinzioni e fisiologia) nel creare percezioni con determinate caratteristiche qualitative e quantitative: l’interpretazione soggettiva di questa struttura dà significato al mondo.

Modificando i significati attraverso una trasformazione della struttura percettiva (definita mappa, cioè l’universo simbolico di riferimento), la persona può intraprendere cambiamenti di atteggiamento e di comportamento. La percezione del mondo, e di conseguenza la risposta ad esso, possono essere modificate applicando opportune tecniche di cambiamento.

La PNL ha tra i suoi scopi, quindi, l’obiettivo di sviluppare abitudini/reazioni di successo, amplificando i comportamenti facilitanti (cioè efficaci) e diminuendo quelli limitanti (cioè indesiderati).

La PNL è un atteggiamento caratterizzato da senso di curiosità, avventura e desiderio di imparare abilità necessarie a comprendere quali tipi di comunicazione influenzano gli altri. È il desiderio di conoscere le cose che vale la pena conoscere. È guardare alla vita come una rara opportunità per apprendere.

La PNL è una metodologia basata sul principio che ogni comportamento ha una struttura e che questa struttura può essere estrapolata, imparata, insegnata e anche cambiata. Il criterio guida di questo metodo è sapere che cosa sarà utile ed efficace.

La PNL è una tecnologia che permette ad una persona di organizzare le informazioni e le percezioni in modo da raggiungere risultati ritenuti impossibili in passato.

La PNL è un modo di porsi verso la vita, verso il necessario cambiamento, rappresenta un aiuto efficace e sicuro per chi vuole acquisire consapevolezza delle proprie potenzialità e accrescere il proprio successo professionale.

Il primo passo consigliato è un cambio di mentalità: è il modo in cui si affronta che fa la differenza, dice la grande psicoterapeuta Virginia Satir. Accettare questa realtà richiede lo sforzo, anzi due. Il primo è quello di trasformare le proprie aspettative in obiettivi.

Il secondo passo è accettare la sconfitta: “non esistono fallimenti, solo feedback, è uno dei presupposti chiave della PNL.

Quando agisci ottieni sempre dei risultati, positivi o negativi che siano. Se i risultati non sono quelli che cercavi, impara la lezione; ciò ti aiuterà a non commettere più gli stessi errori. Nello sport si dice o vinco, o imparo. Ogni esperienza ti aiuterà a non commettere gli stessi errori e a fare meglio.

Il terzo passo è stabilire perché fai quello che fai, chi sei e in cosa credi.

La zona di comfort

Nell’arco degli anni sviluppiamo una sorta di zona di comfort, un insieme di modi di analizzare, di comportamenti che sono abituali e ci danno sicurezza.

La zona di comfort è la nostra area psicologica in cui siamo a nostro agio, la sfera in cui tutto è familiare e dove tutti noi ci sentiamo a proprio agio. È l’ambito delle nostre abitudini consolidate. Ci muoviamo all’interno della nostra zona di comfort perché il nostro cervello è programmato per ridurre al massimo gli elementi di fatica e di stress, quindi attiva atteggiamenti di protezione e ci mette al riparo da quelli che considera possibili pericoli.

Attenzione! Se rimaniamo sempre nella zona di comfort perdiamo la possibilità di sperimentare cose nuove e sconosciute e quindi evitiamo di esporci a quegli stimoli che ci portano alla crescita.

In effetti, se ci mettiamo un po’ alla volta in situazioni in cui non ci sentiamo completamente a nostro agio, miglioriamo la nostra esperienza. Per far questo, è necessario fare sempre piccoli passi per uscire gradatamente dalla nostra zona di comfort. Si tratta di vivere i possibili momenti di disagio come piccole sfide alla nostra portata, che ci permettano di fare nuove esperienze.

È necessario quindi mettersi in gioco e bisogna farlo a piccoli passi, accettando un minimo rischio.

Stato passivo o inconsapevolezza acquisita

Il sociologo americano M. Massey ha elaborato la teoria dei tre periodi di sviluppo e formazione delle nostre credenze dei nostri valori personali, che identifica tre periodi:

  1. periodo dell’imprinting (da zero ai sette anni) periodo nel quale registriamo e assorbiamo inconsciamente tutto ciò che accade intorno a noi.
  2. Periodo del modellamento (dagli otto ai tredici anni), nel quale incominciamo ad imitare il comportamento degli esseri umani che ci circondano e a scegliere i nostri Eroi, decidendo chi tra mici parenti o genitori possa assumere tale ruolo.
  3. Periodo della socializzazione (dai quattordici ai ventuno anni) nel quale si va a rinforzare valori legati alle relazioni e alla vita sociale.

Quindi sia “le credenze” sia i “valori bussola della nostra Vita”, si creano fondamentalmente grazie a riferimenti come esperienze ed eventi accaduti e condizionamenti ambientali (famiglia, amici, eroi, scuola, Chiesa ecc.), strutturandosi nella mente dell’individuo sotto forma di abitudini di pensiero.

Si tratta per lo più di un processo inconsapevole della persona, nel quale valori e convinzioni profonde si fissano andando ad influenzare comportamenti e sistemi di pensiero, generando diverse aree di confort.

Nell’arco degli anni ognuno di noi sviluppa una sorta di zona di confort per lo più in modalità inconscia, fatta da un insieme di modi di pensare, di comportamenti, di luoghi comuni, di attività, come se fosse in una specie di area protetta, e quando ne esce prova una sensazione di disagio o di incertezza.

È proprio in quel momento di uscita attraverso la consapevolezza di quel disagio che si affronta, che ci si allena a imparare cose nuove, a esplorare nuove possibilità accedendo a nuove informazioni e sviluppando nuovi schemi di pensiero.

Nel metodo del Coaching si va ad esplorare attraverso un metodo quanto siamo consapevoli dei nostri stati d’animo e delle nostre emozioni, e di quanto siamo consapevoli di ciò che sta influenzando i nostri stati d’animo.

La nostra grande opportunità è quella di vivere una vita consapevole, e abbiamo visto quanto siano importanti i nostri stati d’animo e le nostre emozioni e il nostro dialogo interiore.

Ci sono tre modalità secondo le quali sostanzialmente costruiamo, in modo inconscio, le nostre mappe individuali della realtà:

  1. cancelliamo, ignoriamo cioè alcuni aspetti dell’esperienza filtrandola in base alle nostre convinzioni, i nostri interessi, i nostri valori. Se questo non accadesse saremmo assaliti da una miriade di informazioni;
  2. deformiamo la realtà, dando più valore e significato ad alcuni aspetti della realtà stessa piuttosto che ad altri;
  3. generalizziamo, in quanto tendiamo a costruire delle regole generali e assolute in base alle nostre esperienze personali.

Ho conosciuto professionisti che propendono maggiormente per tagliare informazioni, altri a deformare, altri ancora a generalizzare l’esperienza.

L’Intelligenza Emotiva

Per il coach utilizzare l’intelligenza emotiva vuol dire saper attingere dalle proprie emozioni per ottenere maggiori informazioni, per aumentare la consapevolezza delle scelte e delle decisioni importanti.

L’’Intelligenza Emotiva, nella definizione di Daniel Goleman, fra i più importanti divulgatori di questa teoria, è la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di gestire le nostre emozioni e di interagire efficacemente con gli altri.

Le emozioni sono il sale della vita ma capire le proprie emozioni e capire anche quelle di chi ci sta intorno, di chi sta in azienda con noi, è indispensabile.

Le emozioni ci condizionano, ci fanno pensare in maniera diversa, possono creare turbamento, possono rafforzare la nostra motivazione e in alcuni casi rallentare la nostra capacità di ragionare; non vanno soppresse, sono parte della nostra personalità, ma vanno riconosciute per poterne prendere consapevolezza e incanalarle in risposte efficaci e costruttive.

Le emozioni, se non sappiamo gestirle, ci possono travolgere per questo è importante imparare a riconoscerle e a orientarle in modo costruttivo per il raggiungimento del proprio benessere e per vincere la nostra partita interiore.

Gestire, è la parola chiave.

Quando gestisci ciò che provi, o ciò che prova un’altra persona, accetti l’essenza di questa emozione e puoi guidarla.

Implementa il tuo vocabolario emotivo.

Impara a esprimere i tuoi sentimenti e le tue emozioni considerando che tre elementi sono responsabili del nostro stato emotivo.

  1. L’ambiente in cui viviamo: dobbiamo probabilmente iniziare a frequentare persone più positive, allegre e vincenti.
  2. I risultati che otteniamo, la nostra stima, ‘l’orgoglio e la fiducia in sé sono tutti fattori che si attivano quando dimostriamo con i fatti le nostre competenze.
  3. Il percorso di auto miglioramento.

Einstein affermava: la curiosità di conoscere è la più importante delle cose che sappiamo.

Secondo Goleman l’intelligenza emotiva è l’insieme di cinque abilità:

  1. conoscenza delle proprie emozioni intesa come capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui si presenta. L’autoconsapevolezza di esse è un elemento fondamentale per gestire al meglio le varie situazioni;
  2. gestione delle proprie emozioni, intesa come capacità di controllare i sentimenti in modo che siano appropriati alla situazione;
  3. motivazione di se stessi intesa come capacità di padroneggiare le emozioni per riuscire a concentrarsi, per trovare motivazione e controllo di sé;
  4. riconoscimento delle emozioni altrui intesa come capacità di provare empatia ossia comprendere le emozioni che sta vivendo l’altro;
  5. gestione delle relazioni intesa come capacità di gestire le emozioni altrui per entrare in sintonia con gli altri e vivere in modo efficace le relazioni interpersonali.

Roberto Pregliasco- Business & Retail Coach- titolare del brevetto Clipsystem

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